Il titolo di oggi richiama direttamente il comunicato pubblicato il 27 marzo sul sito del Parlamento Europeo, un segnale evidente che l’Europa ha messo gli occhi su ciò che sta succedendo in Turchia, specialmente in quei, troppi pochi, giorni in cui gli eventi hanno invaso il dibattito pubblico. Nella dichiarazione allegata si legge:
“La detenzione odierna del sindaco di Istanbul İmamoğlu e gli arresti e le accuse mosse contro funzionari eletti, attivisti politici, rappresentanti della società civile e delle imprese, giornalisti e altri dall'inizio dell'anno, danno luogo a domande sull'adesione di Türkiye alla sua tradizione democratica di lunga data.
L'UE esorta le autorità turche a fornire la piena trasparenza e a seguire il giusto processo. In quanto paese candidato dell'UE e membro di lunga data del Consiglio d'Europa, la Turchia dovrebbe applicare i più alti standard e pratiche democratiche.”
Il 23 marzo il tribunale di Istanbul ha confermato la detenzione di Ekrem Imamoglu, il sindaco della città, per presunte tangenti e legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), organizzazione che pochi mesi fa aveva annunciato il cessate il fuoco nei confronti dello Stato turco. La stessa giornata segna le primarie del Partito Popolare Repubblicano (CHP), volte a scegliere il candidato presidenziale per le elezioni del 2028, che vedono Imamoglu come favorito indiscusso.
Dal carcere, attraverso i suoi legali, Imamoglu ha fatto pervenire un messaggio carico di determinazione, dichiarando: ”si arriverà alle urne, e il popolo darà a questo governo un indimenticabile schiaffo in faccia”.
Solo pochi giorni prima della conferma giudiziaria, l’Università di Istanbul aveva revocato la laurea in Economia che aveva conseguito trent’anni fa – un passaggio formale, ma dal peso decisivo, che ora gli toglie i requisiti per candidarsi alle presidenziali. Con questa mossa, a ridosso del congresso del CHP volto a consacrarlo come aspirante sfidante nella corsa alla presidenza, si assiste a un chiaro tentativo di frenare un leader, 54 anni, capace di mettere in crisi un sistema politico che da vent’anni si dirige con fermezza sotto l’egida dell’Akp (Partito Giustizia e Sviluppo).
Di nascita a pochi passi da Trebisonda nel 1970, l’attuale sindaco di Istanbul Imamoglu ha origini radicate in una famiglia sunnita osservante, ma ha forgiato una personalità politica dal taglio decisamente occidentale: pur restando legato alle tradizioni islamiche, Imamoglu si distingue per il suo approccio laico e progressista. È questo equilibrio a renderlo una figura in grado di attrarre consensi anche lontano dall’elettorato tradizionale di Erdogan. Negli anni Novanta si trasferì a Istanbul, dove non solo ottenne una laurea – quella che gli è stata revocata – ma fece anche esperienza nel settore delle costruzioni, operando all’interno dell’impresa familiare.
La sua traiettoria politica ebbe un punto di svolta nel 2019, in un clima di alta tensione, quando, dopo due tornate elettorali – una in aprile e una in giugno – riuscì a superare l’ex primo ministro Binal Yildrim, dopo che una prima votazione, annullata per contestati errori nei conteggi, aveva lasciato tutti a bocca aperta. La vittoria fu tale da spianare la strada a una rielezione nel 2024, quando conquistò il 51% dei voti, consolidando la fiducia degli elettori. Da allora, la sua amministrazione ha puntato su iniziative volte all’dclusione sociale, al supporto dei più fragili e allo sviluppo dell’edilizia popolare. Parallelamente, ha dovuto affrontare non meno di quasi cento attacchi giudiziari, chiaramente orchestrati per ostacolare il suo cammino legislativo.
Le accuse, ormai surreali nella loro molteplicità, assumono tinte paradossali. I casi spaziano dal grave al decisamente surreale. Infatti, una delle accuse rivolte a Imamoglu è che abbia preso a calci la tomba del sultano Mehmed il Conquistatore, che strappò quella che allora era Costantinopoli ai bizantini nel 1453, e un’altra è che i minibus procurati dalla sua amministrazione non fossero adatti alle strade della più grande isola del Mar di Marmara al largo di Istanbul.
Questa frangente giudiziaria appare come un preludio all’arresto e a un palese tentativo di sabotaggio della corsa di Imamoglu alla presidenza, una strategia che getta una luce cupa su un potere sempre più arroccato e autoreferenziale.
Il suo percorso resta un invito a osservare con attenzione una Turchia in fermento, dove l’urgenza di cambiamento si manifesta non solo nelle strade di Istanbul, ma anche nelle pieghe di un sistema politico in rapida evoluzione.
Vi consiglio di leggere questa intervista per capire il clima che c’è in quella zona di mondo.
Nel frattempo si hanno poche notizie di quanto sta accadendo. Cercherò di farvi arrivare notizie tramite la mia pagina Instagram @filippomaurii .
Buon fine settimana e ci sentiamo lunedì prossimo, con una nuova puntata di Pendolare. Questa volta un po’ diversa dal solito.