Oggi ti aspetta un argomento che i grandi quotidiani sembrano voler ignorare. Se fossi il direttore di un giornale, nelle ultime settimane avrei speso almeno cinque prime pagine su questo tema – a meno che non fossi coinvolto, ovviamente – eppure tutto questo sta accadendo sotto i nostri occhi senza attirare l’attenzione che merita. Ok, ma di cosa sto parlando?
Sto parlando dell’ultima mossa di Donald Trump: l’abolizione del piano USAID, ovvero la United States Agency for International Development. Ideata da John Fitzgerald Kennedy nel 1961, USAID nacque con l’obiettivo di promuovere la cooperazione internazionale, aiutando i paesi in via di sviluppo a fare progressi concreti. Inizialmente creata per conquistare “i cuori e le menti” dei cittadini dei paesi meno abbienti attraverso aiuti economici e assistenza umanitaria, nel tempo si è trasformata nel braccio operativo del soft power americano, venendo usata anche per operazioni di cambio regime in territori stranieri.
Da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca, ha messo in moto un processo di revisione della spesa pubblica, in particolare per quanto riguarda gli aiuti esteri. Il Segretario di Stato, Marco Rubio, ha congelato tutti i finanziamenti esteri – eccezion fatta per Israele ed Egitto (scelta particolare, direte voi) – e ha promesso una revisione completa dei programmi di assistenza entro 85 giorni. L’idea è di allineare gli investimenti con la politica del nuovo presidente, privilegiando azioni che rendano l’America “più forte, più sicura e più prospera”. E al centro di tutto c’è USAID, il pacchetto di aiuti più consistente in circolazione.
USAID non viene più usata solo per i suoi scopi originari: oggi è lo strumento principale con cui gli Stati Uniti interferiscono politicamente in tutto il mondo. L’agenzia è presente in Ucraina fin dai tempi di Euromaidan (2014), sostenendo testate giornalistiche e think tank (fact-checking).
E non è tutto: in Romania la scena politica ha preso una piega inaspettata. La Corte Costituzionale ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali, subito dopo la sorprendente vittoria di Călin Georgescu, candidato indipendente noto per le sue critiche alla NATO. La decisione è arrivata dopo la pubblicazione di documenti di intelligence che segnalavano una presunta interferenza russa tramite account falsi su TikTok. La parte più intrigante? Sembra che dietro questa mossa ci siano pressioni da parte di think tank e ONG, finanziati dagli USA attraverso i fondi di USAID, dal NED (National Endowment for Democracy) e dal Dipartimento di Stato, che hanno sfruttato la loro visibilità per alimentare una narrativa anti-russa e far pressioni sulla Corte.
Non solo in Romania ma anche in Georgia la situazione sembra seguire un copione simile. Il Presidente del Parlamento, Shalva Papuashvili (Sogno Georgiano), ha scatenato polemiche su X, accusando USAID di aver speso ben 41,7 milioni di dollari, tramite ONG politiche, per influenzare le elezioni nel paese.
Il controllo dei media è forse la questione più preoccupante. Secondo Reporters Senza Frontiere, il blocco di USAID ha congelato 268 milioni di dollari destinati quest’anno a sostenere il “giornalismo indipendente e la libera circolazione delle informazioni”. La situazione è particolarmente critica in Ucraina, dove il 90% dei media si basa su questi finanziamenti. Olga Rudenko, direttrice del Kyiv Independent, ha paragonato l’impatto negativo del congelamento dei fondi alla pandemia di COVID-19 e all’inizio dell’invasione russa su larga scala, avvertendo che la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente se non si revoca il provvedimento.
Ma come può una testata definirsi “indipendente” se dipende così pesantemente da finanziamenti statali? E fino a che punto una ONG può definirsi tale se la sua esistenza è subordinata a questi fondi? È una contraddizione in termini: è praticamente impossibile operare senza cadere sotto l’influenza dei paesi che ti finanziano. Quindi mi chiedo: come siamo arrivati a questo punto? Forse gli Stati Uniti stanno abbandonando il progetto di egemonia globale; non vogliono più essere la nazione “indispensabile”, ma semplicemente un’altra grande potenza.
Per scoprire altri usi dei fondi di USAID fatti un salto su questa pagina ufficiale della Casa Bianca.
Ma aspetta, se finissimo qui rischieremmo di tralasciare l’altro lato della medaglia. I fondi USAID, infatti, finanziano anche progetti che salvano vite. Marco Rubio ha rassicurato dicendo che i provvedimenti “salvavita” potranno continuare, anche se dovranno essere certificati come tali.
I servizi di salute materna e mentale, fondamentali per milioni di donne in Pakistan, Afghanistan, Gaza e Ucraina, sono stati interrotti o addirittura eliminati. Più di 1500 donne afghane impiegate presso USAID rischiano di perdere il lavoro e la protezione, in un paese dove i talebani hanno vietato a molte donne di lavorare. Anche in altre zone critiche dell’Oriente e dell’Asia, progetti essenziali – come lo sminamento in Cambogia o la lotta contro la malaria e la tubercolosi – sono in seria difficoltà.
In Africa centrale, i programmi stanno subendo forti disagi, specialmente in Sud Sudan e Uganda. Nel Sudan, dilaniato dalla guerra, i programmi di distribuzione alimentare sono stati interrotti, portando alla chiusura di centinaia di mense comunitarie che garantivano cibo dove le grandi ONG non riuscivano ad arrivare. E nella Repubblica Democratica del Congo, nelle province orientali colpite da nuove violenze a causa dell’avanzata di un gruppo ribelle sostenuto dal Ruanda, 1,2 milioni di persone rischiano di rimanere senza aiuti essenziali.
Da una parte USAID si è trasformata da benevolo strumento di cooperazione in un'arma affilata di soft power, dall'altra i progetti che salvano vite vengono sacrificati per giochi di potere e interessi nazionali. In un mondo dove i fondi e le priorità cambiano al volo, le ONG possono davvero rimanere indipendenti o sono destinate a diventare pedine in un gioco geostrategico senza regole fisse? Dobbiamo quindi trovare un modo per salvare vite senza barare.
Le ONG di tutto il mondo stanno cercando un modo per fronteggiare tutto questo. Devono trovare soluzioni per non chiudere i battenti e, soprattutto, per continuare a dare una mano a chi ne ha bisogno. Nei prossimi giorni cercherò di mettermi in contatto con alcune ONG italiane per capire l’enorme danno che le nuove politiche del governo degli Stati Uniti stanno causando.