Qualche settimana fa ho conosciuto Bassam e Nabil (pseudonimi), due ragazzi siriani che hanno solo qualche anno in più di me. Li ho incontrati ad un evento organizzato da Pro Terra Sancta, durante il quale alcuni dipendenti hanno ricostruito la storia della Siria e dell'intera regione, fino alla caduta del regime di Assad.
La situazione geopolitica siriana è veramente difficile da districare. Tutti i paesi che confinano hanno delle roccaforti, basi militari o zone pseudo-controllate. La Russia ha delle basi sul mediterraneo. Israele ha invaso il sud. Gli Stati Uniti hanno una base a sud-est. Servirebbero ore per dire tutto e ancora sarebbe difficile capirci qualcosa.
Di recente Al Jolani, che ora è tornato a farsi chiamare Al-Sharaa abbandonando il suo nome di guerra, ha affermato: ”Lavoreremo per formare un organo di giustizia transitorio per ripristinare i diritti delle persone e, se Dio vuole, assicurare i criminali alla giustizia”. In realtà è partita una vera e propria caccia ai fedelissimi di Assad. Secondo l’osservatorio per i diritti umani in Siria con sede nel Regno Unito più di 1000 persone sono rimaste uccise negli scontri. Più di 700 sono civili alauiti, gruppo religioso di derivazione sciita di cui fanno parte Assad e i suoi collaboratori più stretti. Molte testate italiane affermano che è impossibile riuscire a verificare indipendentemente cosa stia accadendo in quanto la zona degli scontri è stata interdetta ai giornalisti. Tutto sembra essere cominciato con un assalto di miliziani di Assad che hanno ucciso 16 membri delle forze del governo. Le rivolte si sono sparse a macchia d’olio finché l’organizzazione chiamata Consiglio militare per la liberazione della Siria ha dichiarato di voler rovesciare l’attuale governo. Ci sono stati attacchi deliberati contro le abitazioni. Alcune testate denunciano una vera caccia alle minoranze da parte del governo siriano.
Tutto questo mi ferisce ancor di più dopo aver conosciuto Bassam e Nabil. Sono due ragazzi che studiano e lavorano, come te che stai leggendo magari. Sono qui da due o tre anni e in questo tempo solo Nabil è riuscito a tornare una volta in Siria. Da come parlano della loro patria si percepisce la difficoltà della lontananza che sono costretti a vivere. Raccontano delle differenze tra le vite che si fanno nelle varie regioni, proprio come qui in Italia ci sono città frenetiche e città in cui, Bassam dice “sappiamo goderci la vita”. Su tutti i giovani siriani grava un fardello pesante: la leva militare, che negli ultimi tempi si è trasformata in una vera e propria condanna. All’inizio la sua durata era di un anno e mezzo mentre ora può durare anche 10 anni. È possibile rimandare l’arruolamento fino al termine degli studi, infatti molti decidono di iscriversi all’università per poi fermarsi a due esami prima della fine e temporeggiare. Nabil racconta delle fatiche che si trovano a vivere qui in Italia.
“Quando ho conosciuto i compagni di università, miei coetanei, mi sentivo vecchio. Non pensavo a quello a cui pensavano loro. Non avevo mai avuto una discussione su quale fosse la mia band preferita. Non ho mai sognato di andare in vacanza un mese a Bali per scappare dal freddo dell’inverno.”
E non solo. I due parlavano di una fatica doppia. Oltre alla fatica della vita qui infatti c’è il senso di colpa di essersene andati dalla Siria.
“Ogni volta che ci suona il telefono potrebbe essere accaduto qualcosa di tragico, per questo viviamo sempre con apprensione e rispondiamo immediatamente.”
Al Jolani, una volta salito al potere, ha promesso 8 ore di elettricità al giorno. È durata due giorni e poi la corrente non è più tornata. Se andava bene c’era per un’ora al giorno, esattamente come nei 15 anni precedenti. Un’ora in cui bisogna fare tutto. Riscaldare l’acqua per lavarsi, ricaricare il telefono, ascoltare le notizie. Mi manca l'aria solo a pensare a quante delle cose che faccio dipendono dall'elettricità. Ma come si fa a vivere in queste condizioni? Continuavo a chiedermelo mentre sentivo i loro racconti. Nella mia testa avevo già iniziato a lamentarmi al posto loro. Bassam e Nabil non lo stavano facendo però. Nonostante quella condizione così complicata hanno raccontato della Siria col sorriso. La scorsa settimana li ho rivisti e mi hanno raccontato di quanto fosse buona la birra che bevevano in Siria, dei dialetti di arabo che parli a seconda di chi frequenti. A quanto pare le persone che frequentano le scuole private del Paese parlano l’analogo del corsivö. Mi hanno fatto l’imitazione in arabo e devo dire che se fossi un linguista ci scriverei una tesi, un fenomeno particolare. Tutto questo per dire che dalle loro parole la Siria non è un paese destinato alla separazione o ad essere un covo di terroristi, anzi. C’è un desiderio grandissimo che rinasca un sentimento di fratellanza tra tutti i siriani per debellare il virus dell’odio. Cosa permette che vinca questo sentimento nonostante gli orrori che si consumano in quelle terre?
Ti auguro una buona settimana.